25 Aprile, Brindisi Capitale di quella Resistenza ignorata

di Giancarlo Sacrestano

Perché è un dovere celebrare il 25 aprile?
In questo giorno di 71 anni fa, Milano insorse contro gli oppressori nazifascisti. Il generale Luigi Cadorna per conto del “Corpo Volontari per la Libertà Alta Italia”, in un documento titolato “ai patrioti i doveri dell’ora” e col grido di “VIVA l’ITALIA! Incitava tutti col motto: “Morte all’oppressore nazifascista” invitando i veri patrioti ad imbracciare le armi.
A nome del Comitato di Liberazione Nazionale, sezione di Milano, Riccardo Lombardi assunse tutti i poteri dello stato nella provincia di Milano.
Si concludeva così, dopo che tutto era cominciato con l’armistizio e la fuga del re e del governo a Brindisi, l’8 settembre 1943, il percorso che liberava definitivamente l’Italia dal fascismo e dal suo alleato, Hitler.
Nelle parole celebrative del 70° della liberazione, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo scorso anno, invitò noi tutti alla seguente riflessione: “La nostra Costituzione è il frutto della lotta antifascista contro la dittatura e la guerra. La qualifica di resistenti va estesa non solo ai partigiani ma ai militari che rifiutarono di arruolarsi nelle brigate nere”.
La guerra antifascista, è cominciata certamente molto tempo prima di quell’annuncio milanese, a cui rivolgiamo tutti un accorato e onorevole pensiero.
La memoria corre però, a quella lotta, contro ogni forma di totalitarismo, cominciata molti mesi prima e che, se luogo bisogna cercare ove dare sintesi al tutto, quello forse è proprio Brindisi, la piccola città del basso adriatico dove il vessillo nazionale, il tricolore, sin dall’17 marzo 1861 non è mai stato sostituito con altro di nessun occupante.
Il 9 settembre 1943, la città messapica, veniva investita di un ruolo che la storia le aveva a più riprese conferito, ribadendo la sua vocazione alla pace e alla libertà. In quei giorni drammatici, Brindisi divenne capitale di pochi, ma si apprestava ad assumere il ruolo di porta di libertà per tutti.
Porto di speranza per l’intera Europa.
Non è mai sufficiente ricordare il ruolo di base aerea e navale per gli eserciti delle nazioni alleate che da qui operavano per la simultanea liberazione del nostro territorio nazionale, ma anche per le operazioni di assistenza alle popolazioni ed ai partigiani d’europa in lotta contro il nazismo.
Rappresentativo è il ruolo rivestito da Brindisi nell’assistenza a Varsavia, la prima capitale europea, che nell’agosto del ’44, insorse contro Hitler.
Da Brindisi rinacque l’esercito italiano. Da qui, le istituzioni nazionali ripresero il cammino, travagliato ed incerto, in un percorso accidentato che gli storici definiscono: secondo risorgimento.
Brindisi capitale di quella resistenza ignorata, per cui certamente ed ancora ricordo il valore del brindisino Felice Maellaro e di quei tanti, 750mila IMI, internati militari italiani – 80.000 dei quali morirono! – di cui già nel 1954, Alessandro Natta, futuro segretario del Partito Comunista Italiano, si accinse a scrivere la vicenda della prigionia.
Ricordare, a pochi anni dalla fine del conflitto, l’oscura ma determinante “resistenza” dei militari italiani internati in Germania e in Polonia ed allo stesso tempo, “riabilitare” un esercito uscito moralmente sconfitto sia dalla guerra che dalla Liberazione a dieci anni dai fatti, non parve “editorialmente” opportuno (SIC!).
Natta dovrà attendere il 1997 per raccontare una tragedia, su cui, asperità ideologiche mai sopite, ancora oggi dividono la data odierna.
Se le ragioni di tanto, sono rintracciabili nel vizio nazionale di lasciar scorrere fiumi di acqua per lavare il sangue delle tragedie e dei lutti che non abbiamo elaborato socialmente, dall’altra, la memoria incisa nel granito delle tombe dei troppi giovani, mai divenuti adulti, morti per tenere fede al proprio giuramento, chiedono a noi, loro eredi, un contributo alla lotta che non hanno lesinato a spingere sino al sacrificio.
Tutti, ma proprio tutti, siamo eredi. Tutti, ma proprio tutti i morti e chi ha combattuto, sono nostri genitori a cui dobbiamo quel grande, enorme patrimonio di valori e di cultura, che ci rendono civili e agiati oggi.