Pedofilia, don Caramia chiede la scarcerazione: ecco le accuse che lo hanno portato in cella

Don Francesco Caramia ha chiesto di lasciare il carcere o almeno di ottenere gli arresti domiciliari. L’udienza davanti al Tribunale per l’ex parroco del Bozzano accusato di pedofilia è fissata per martedì 28 giugno. Caramia è accusato di violenza sessuale continuata nei confronti di un chierichetto di otto anni, tra il 2008 e il 2009.
Ciò che emerge dal ritratto fatto dagli inquirenti è “un parroco indubbiamente estraneo all’immagine tradizionale del sacerdote pastore”.
Lasciando da parte le “tendenze omosessuali”, per altro documentate dai numerosi sms riportati agli atti, il punto per l’accusa sostenuta dal pm Milto Stefano De Nozza è un altro. Don Caramia, secondo i magistrati è “propenso a sentimenti di rabbia e vendetta, dedito a utilizzare con inquietante naturalezza un linguaggio nettamente offensivo e blasfemo”. E poi ancora: “Un uomo egoista, menefreghista, dal fare truffaldino, dalla personalità inequivocabilmente scaltra, insincera e disubbidiente”. 


IL SEMINARIO – Nel fascicolo d’inchiesta sono confluite tra l’altro numerose notazioni che risalgono al periodo in cui il sacerdote era in seminario.
Diversi educatori hanno avuto modo di esaminare il cammino spirituale del 42enne. Qualcuno già all’epoca aveva espresso qualche riserva sull’opportunità che diventasse sacerdote.
Nel 1995 scriveva Fabio Ciollaro, attualmente vicario del vescovo: “Ha trascorso la prima parte dell’anno con discreto impegno, applicandosi con regolarità nello studio e mostrandosi docile e servizievole. Ma la scoperta di alcuni episodi e situazioni nascoste ha svelto una spiacevole e strana doppiezza. E’ venuta alla luce una affettività disordinata una maturità inadeguata all’età (21 anni) nei giudizi e nelle scelte pratiche, una ripetuta insincerità e disobbedienza nei riguardi degli educatori, in maniera a volte lieve a volte grave. Allo stato attuale è opportuno che lasci il seminario. Indubbiamente potrà continuare il suo cammino di discernimento in parrocchia e con l’accompagnamento di qualche prudente sacerdote. sarà però difficile che emergano i lati e gli aspetti veri della sua personalità, così come può invece avvenire seguendolo giorno per giorno nelle situazioni concrete della vita comunitaria. in ordine al suo futuro vocazionale, pertanto, si esprimono forti riserve e perplessità. Ci si rimette tuttavia la giudizio del Vescovo”.
Nel 1996 un’altra persona scrive: “Mi sono posta una domanda. La vocazione di Francesco è una vera chiamata o una possibilità di gratificazione sociale? Ama veramente il Signore o ama se stesso? Ovviamente non ho ancora una risposta”.
Tutto ciò avrebbe avuto conferma dal comportamento tenuto da don Caramia il giorno successivo alla perquisizione dell’11 dicembre 2015.
L’indagato avrebbe “impartito l’ordine” di far sparire due computer che i carabinieri non avevano prelevato. Ammette, rimarca l’accusa, che da un controllo del suo smartphone sarebbe potuto emergere il collegamento a siti porno. Esclude categoricamente che ci potessero essere contenuti pedopornografici.
Infine la reazione, il tentativo di “screditare” agli occhi del resto del mondo il ragazzino che aveva raccontato le presunte molestie sessuali, a documentare l’indole “vendicativa” del religioso: “A me interessa che esca il nome del ragazzo perché poi, poi lo devono prendere di mira.. siccome i ragazzi miei lo conoscono”. E poi ancora: “Se loro lo sanno, sui giornali può uscire appuntato ma poi gira la voce”.

LE ACCUSE DELLA VITTIMA – “I ricordi più brutti sono tipo quando lui comunque dopo un po’ di tempo mi incominciava a maltrattare. Nel senso che comunque gli dicevo, per favore lasciami stare, sono un bambino, perché? Lui mi ha cominciato a dare tue o tre schiaffi qualche volta. Poi ha smesso”.
Il racconto della presunta vittima, oggi 16enne, è stato consegnato al gip Maurizio Saso nel corso dell’incidente probatorio del 16 febbraio, occasione in cui in forma protetta e con tutte le garanzie del caso, il ragazzino è stato ascoltato su richiesta del pm Milto Stefano De Nozza per “congelare” una futura prova che correva il rischio di non poter mai essere più acquisita. Il tempo cancella, la tensione rischia di provocare blackout. E’ stata quella l’occasione in cui è stata disposta una perizia che ha ritenuto credibili le dichiarazioni fatte dalla persona offesa. La consulenza di parte dell’indagato, invece, è stata effettuata dalla criminologa Roberta Bruzzone e giunge a conclusioni diverse.
Agli atti del pm e a disposizione del gip c’è quindi la lunga narrazione, con tutti i dettagli sugli atti sessuali che il piccolo sarebbe stato costretto a compiere e che ha riepilogato senza tentennamenti.
“Lo capivo che non era una cosa per bambini – prosegue – mi immaginavo che non era una cosa per bambini. Gli dicevo sei grande, lasciami stare”. E poi: “Sì qualche volta piangevo. Diciamo, le prime volte non tanto, rimanevo totalmente bloccato lì, cioè mi muoveva come una bambolina. Però a volte piangevo, diciamo, non urlavo. Piangevo, perché sapevo che se urlavo chissà cosa mi poteva succedere. Quindi ho detto piangi e non urlare”.
A un certo punto, sarebbe arrivato un sentimento di ribellione sconfinato però in atti di autolesionismo: “Col fatto di quello che è successo ho tentato, più volte ho tentato di suicidarmi. Ho cercato di tagliarmi”. E ancora: “Ho cercato di prendere più medicinali possibile, di fare una specie di cocktail di farmaci.
La perizia a firma dell’esperta nominata dal Tribunale, Monica Legittimo è stata depositata il 20 maggio 2016. La richiesta d’arresto risale all’8 giugno successivo. 
Il minore viene giudicato essere: “Normalmente orientato nel tempo e nello spazio”, dotato di un “ottimo livello intellettivo e buone funzioni cognitive”, ovvero di “capacità attentive e linguistiche adeguate alla sua età”. Mostra una “buona capacità mnemonica per quanto attiene alla sua storia personale recente e passata (memoria autobiografica)”. Emergono “paure e angosce spesso somatizzate” ed una “estrema difficoltà di accesso alla sfera sessuale, vissuta con inquietudine e angoscia”. Quindi: “Non si mostra suggestionabile, resistendo all’insidia delle domande guidanti e al rischio di adesione all’autorevolezza dell’intervistatore”.
Aggiunge poi il 16enne che all’epoca dei fatti, nel 2008 e nel 2009, ne aveva 8: “Lui comunque ogni giorno, ogni giorno era una minaccia, ogni volta”.
Quale? “Di levare il lavoro a mio padre, di levarci casa, di sbatterci sotto un ponte, di levarci tutti i soldi, perché comunque lui era potente, era autoritario, era conosciuto”.
Ed ecco la spiegazione data, tra gli omissis, alla domanda sulle ragioni per cui avrebbe continuato a sottostare: “Ho continuato per proteggere i miei genitori. Ho continuato perché ero obbligato e per proteggere i miei genitori”.
C’è poi una ricostruzione fedele degli “abusi”. E memoria delle parole che il sacerdote avrebbe proferito nel corso degli incontri: “Tu non puoi fare niente, tu non hai diritto, mentre io sì. Insomma tu sei qui per aiutare me”.

I TENTATIVI DI INQUINARE LE PROVE – “Se dovesse uscire qualcosa che mi incrimina effettivamente, non è che posso negare. C’è poco da negare, patteggio, se può essere pure che me ne sono andato di testa”. Secondo i magistrati, nonostante la preoccupazione per “le prove emerse a suo carico”, don Caramia avrebbe comunque tentato di “inquinare l’attività di indagine e smantellare l’impianto accusatorio”. Cercando inoltre di panificare una “vera e propria strategia difensiva volta a minare la credibilità della persona offesa”.
“L’accusa sta sa, non è una favola. C’è un’accusa, non è che posso, non è che solo perché va approfondita, e beh io devo mettere in campo gli strumenti, non sei d’accordo?”.

IL PARCHEGGIO ROSA – “Senti io vado al parcheggio rosa eh..”. La conversazione viene captata in auto, nei pressi di un centro commerciale. E viene ritenuta utile dagli inquirenti per fornire una fotografia della personalità di don Caramia. O meglio: “Il carattere evidentemente egoista e menefreghista dell’indagato”.
L’uomo che è in auto con lui risponde: “No dai, pure per chi ci vede”. “Dove c.. mi devo mettere” ribatte il parroco. Per poi aggiungere: “Vedi? Non mi fai fare come dico io, li m… di Eva”.
Quindi aggiunge: “Che a te stanno badando na… Io vado qua, mia moglie sta dentro, non è parcheggio rosa qua”.
Anche altre esternazioni, in soliloquio, fatte alla guida della sua autovettura vengono captate e inserite nel novero delle frasi giudicate di rilievo. “Non esita a bestemmiare contro una donna che probabilmente trovandosi alla guida di un altro veicolo, a parere dell’indagato aveva compiuto una manovra errata”.
“Vaff… a mamm… che stai guardando?”, e non solo.
Infine per uno starnuto, in seguito al quale l’amico gli fa notare che “ti stanno pensando, ti stanno dicendo brutte cose”, il commento è “si fanno in c… a chilestr….”. Linguaggio “offensivo e blasfemo” per pm e gip, non consono all’abito talare indossato da don Francesco, giovane prete di Brindisi che si è sempre distinto per la sua modernità. Il privato è stato scrutato e in parte utilizzato per supportare l’accusa di pedofilia che gli viene mossa. Ma soprattutto per argomentare la sussistenza di gravi indizi ed esigenze cautelari tali da far aprire le porte della casa circondariale di via Appia.