Quella scritta che celebra l’orgoglio di essere diversi. Ossia italiani

Egregio sig. Perri, può capitare a tutti, capita, e questa volta è capitato a te : sei incappato in uno svarione. Mi riferisco al tuo articolo “Una nazione, un popolo o solo un insieme di individui?” che hai postato nel tuo blog su Senza Colonne. Mi sono avvicinato al tuo articolo con la consueta curiosità che riservo a qualunque cosa superi le cinque o sei righe; sono convinto infatti che sia meglio seguire un ragionamento e ritrovarlo sbagliato opponendo le proprie idee al posto di ubriacarsi delle centinaia di slogan di filosofia pret a porter dei quali è intasato il web.

La mia curiosità è stata però, mal ripagata : l’articolo non mi è piaciuto ma, soprattutto, mi ha infastidito. Ti spiego : nella terza parte del tuo pezzo, aiutandoti con una storiella dal sapore antico e collaudato, e cioè persone di varia nazionalità costrette ad affrontare le medesime sfide, tu assegni ai naufraghi statunitensi la capacità di essersi salvati grazie alla loro “ disciplina, solidarietà, educazione, senso civico e sentimento d’appartenenza”, e agli italiani, invece, rinfacci le loro “diffuse meschinità pseudo intellettual-umanisticheggianti”. I primi salvi e ritrovati in buona salute ed organizzati e i secondi, noi italiani, litigiosi, scansafatiche e furbi, salvati per puro miracolo. La storiella, di per se, non mi piace ma, l’avrei relegata nell’archivio delle tante cose lette da dimenticare se ad essa non fosse seguito il finale che mi ha indignato. Nel finale ti chiedi, cito testualmente : ” E allora? Potremo mai noi italiani tornare ad essere, o forse “finalmente diventare” una vera nazione? O quanto meno : torneremo mai a meritar d’essere veramente “un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”? O, invece siamo ormai condannati a restare per sempre un “assieme di individui”, magari intelligenti incisivi e creativi, ma anche tanto furbi?”. Caro Gianfranco, quella scritta su quel colosseo quadrato che sorge all’Eur e che tu hai riportato non parla di “lavoro a rotazione … di disciplina, di solidarietà e di educazione” come pensi tu .

Quella scritta è la lode alle nostre proprie virtù: all’ozio costruttivo di San Francesco, alla mancanza di disciplina di Caravaggio, alle speculazioni di Cristoforo Colombo, alle intuizioni di Marconi e di Leonardo, alle riflessioni di Giacomo Leopardi che se ne stava a rimirare l’eterno e a tutti coloro che hanno fatto grande il nostro paese. Se fosse come tu dici, li sopra ci sarebbe la lode ad un popolo di geometri, ragionieri, operai specializzati, medici, ingegneri, portantini e idraulici e invece di tutto ciò non c’è nemmeno l’ombra. C’è, in quella scritta, l’orgoglio di essere diversi, di non esserci mai piegati alle imposizioni, di rimanere unici di fronte all’appiattimento generalizzato, di disubbidire, di essere rimasti noi stessi contro tutto e tutti … anche contro la storia. Quell’”essere unici e diversi”, caro Gianfranco, quella presunzione, quella pazzia, quell’estro, quell’ “otium”, è esattamente l’opposto del lavoro produttivo che tu ritrovi come virtù negli “statunitensi o magari nei tedeschi”.

Trovo, caro Gianfranco, estremamente sbagliato voler rendere “tedesco” un “greco” e rendere “statunitense” un “italiano”: in tutto questo sento odore di razzismo e di colonialismo. Sul fatto poi che tu sottolinei che gli statunitensi della suddetta storiella “avevano creato una comunità ordinata” ed invece fra i poveri naufraghi italiani “si era creata qualche inimicizia nel gruppo” avrei da obiettarti che, come diceva Orson Welles nel “Terzo uomo” facendo l’elogio del male, durante il sanguinario periodo dei Borgia, delle guerre interne, dei tradimenti e dei venefici, quindi dell’inimicizia istituzionalizzata, in Italia esplose il genio di Michelangelo, la maestosità di Raffaello, il Rinascimento con i suoi palazzi e le sue eterne opere d’arte mentre, nella vicina calma, pacifica e produttiva Svizzera, nello stesso periodo, fu inventato l’orologio a cucù. Non me ne volere; ognuno legge il passato come può e come vuole e se, a causa di quanto ho scritto, dovesse venirti in mente di pensare a me come un lavativo ed un fancazzista che cerca di celarsi dietro ragionamenti “intellettual-umanisticheggianti”, non sentirti in colpa per questo: per me è quasi un complimento. Absit iniuria verbis.

Apunto Serni.

P.S. Le ferree leggi della concinnitas (ricordatemi dal lucido Gabriele Damely) non mi hanno concesso di risponderti sul problema centrale dell’articolo. Prima o poi lo farò … ma con calma, quando mi andrà, se mi andrà, … a tempo mio, senza fretta … aspettando l’ispirazione