Mays, 12 maglie in sette stagioni: l’uomo che ha fatto riappacificare Brindisi con la parola “pivot”/RITRATTO

di GIANMARCO DI NAPOLI

In sette stagioni ha indossato dodici maglie di club più quella di una nazionale, quella della Repubblica Centrafricana. Nel suo vagare per il mondo ha giocato in tre diversi continenti, sfiorando più volte il suo grande sogno, quello di entrare negli Nba. Quasi ogni estate partecipa alla Summer League (l’ultima maglia che ha indossato è stata quella dei Sant’Antonio Spurs, proprio nell’estate precedente a quella del quinto titolo conquistato contro Miami, 5,5 punti e 3,9 rimbalzi in media in 8 gare, ma poi arrivederci e grazie).

James Dixon Mays, nato 28 anni fa a Garner, cittadina di 25 mila anime nella Carolina del Nord, ma munito di un prezioso passaporto centrafricano, è l’uomo che ha fatto riappacificare gli appassionati di pallacanestro brindisini con la parola “pivot”, lo scorso anno ripudiata, bandita dalla semantica baskettara, laddove il termine “rimbalzo” appariva quasi blasfemo e la relativa casella condannata ai numeri negativi.

Con 12 punti e undici rimbalzi (ma avrebbe potuto fare di più se Piero Bucchi non lo avesse tirato prudenzialmente fuori dalla mischia in vista della trasferta di Caserta), si è fatto già vedere negli specchietti da signori del pitturato che in Italia vanno per la maggiore come Oderah Anosike, il mostruoso centrone che da Pesaro si è spostato ad Avellino, Samardo Samuels, il giamaicano che ha vinto il campionato con Milano, e Linton Johnson, quello che con la maglia della Scandone mandò a farsi benedire i tifosi brindisini provocando una mezza sommossa e che ora sta a Pistoia. Tutti in doppia doppia questi signori e tra loro anche Mays.

E’ un “cinque” particolare James. Non il solito bestione sfasciaferri, retaggio nel vecchio basket in cui il pivot doveva essere grande, grosso e possibilmente nero. Già quando era ragazzino e giocava al college stracciava i compagni sotto i tabelloni, ma poi primeggiava per palle recuperate e assist.

L’hight school l’ha fatta sempre in Carolina, ma in quella del Sud, nella Clemson University, dove gli sport principali sono il football americano, il baseball e persino il calcio. Il basket viene molto dopo e l’ultima apparizione di un certo livello nella post-season risale addirittura al 1980 contro Ucla, sei anni prima che James venisse al mondo. Quando chiude la sua esperienza collegiale con i Tigers ha totalizzato una media di 9,1 punti, 6,4 rimbalzi e 1,7 assist a partita.

A questo punto inizia il suo peregrinare. Decide che per diventare un professionista completo deve imparare a conoscere tutti i modi di interpretare il basket nel mondo: comincia dalla Cina, nel 2008, con i Beijing Ducks (26 punti e 13 rimbalzi a partita), poi vola a Porto Rico con i Caciques de Humacao (oltre 17 punti, 8,6 rimbalzi e 2,8 assist), quindi si imbarca per la Turchia dove indossa la maglia dell’Oyak Renault insieme a una talentuosa guardia americana che si chiama Jonathan Gibson.

Anche qui chiude con statistiche importanti: 17 punti, nove rimbalzi e 1,4 assist a partita. Poi di nuovo a Porto Rico, gioca con la nazionale Centrafricana che sfiora la qualificazione alle Olimpiadi, quindi ritorna in Turchia e in un amen sta di nuovo in Porto Rico.

Finalmente torna a casa, nella periferia degli Nba, in D-League: prima con Springfield Armor, poi con i Maine Red Claws, infine con i Sioux Falls Skyforce. Ci riprova in Summer League e nel 2013 torna in Asia, ma stavolta nelle Filippine, per giocare con una squadra dal nome spassosissimo, San Mig Super Coffeee Mixers dove vince il campionato con medie stratosferiche: 20 punti e quasi 17 rimbalzi.

Un giorno di luglio lo chiama un suo grande amico,  “tale” Cedric Simmons, l’ultimo pivot che Brindisi ricordi: “Vai all’Enel che ti troverai bene”.

Le valigie James le prepara in un attimo, lo fa da una vita. Arriva quasi a luci spente nel Pala Pentassuglia, ma fa capire subito che è l’uomo giusto. No, non è altissimo, non è grossissimo, ma muove i piedi come una guardia, tira indifferentemente con la destra e la sinistra e prende tanti rimbalzi. Una sola pecca: dalla lunetta ne sbaglia parecchi.

E qui scattano i lucciconi, pensando a un certo Otis…

(La foto di Mays è tratta dalla pagina Facebook della New Basket Brindisi)