Le chiese rurali, patrimonio perduto

Le chiese e le cappelle rurali rappresentano una importante testimonianza della profonda religiosità e della devozione popolare contadina dei secoli passati. Questi piccoli e semplici edifici di culto, talvolta impreziositi da elementi decorativi in stucco, furono eretti prevalentemente tra la fine del ‘700 e la prima metà del secolo successivo nei pressi delle masserie e dei casali di campagna, per consentire la partecipazione al rito religioso ai braccianti agricoli e alle loro famiglie senza farli allontanare dal luogo di lavoro, come riportato in un documento della chiesetta della Masseria Badessa dedicata al Cristo Salvatore, costruita nel 1686 dai Seripando su licenza del vescovo: “per comodità dei massari e altri lavoratori esistenti in detta masseria, acciò questi nelli giorni festivi non perdessero la messa, stante la distanza che questa masseria tiene dalla città e da altri luoghi convicini”.

Infatti, secondo il Codice di diritto canonico, “i fedeli sono tenuti all’obbligo di partecipare alla Messa” sia per santificare la domenica e soprattutto in occasione delle feste di precetto; potevano inoltre assistere alle funzioni gli altri contadini della zona, anche per questo la collocazione delle chiesette rurali era quasi sempre discosta dai fabbricati principali, o comunque su lato esterno dei fabbricati, in maniera da evitare l’accesso nella corte poderale a chi non vi risiedeva. Suggestiva la posizione della cappella dedicata a San Michele “incastrata” tra i fabbricati ricostruiti e ristrutturati alla fine dell’800 a Masseria Mascava, dove all’inizio dello stesso secolo furono censiti arredi sacri, calici in ottone e l’intero allestimento per la chiesa e per il sacerdote.

Generalmente le chiesette rurali venivano dedicate alla Madonna, come quella realizzata nel 1741 dall’abate Granafei a Masseria Lapani (Apani), intitolata alla Vergine della Concezione, distrutta nel 1984. All’interno vi era un importante dipinto su tela della Sacra Famiglia andato perduto. Solo poche effigi dedicate a Maria presenti nelle cappelle rurali si sono salvate, tra queste di grande interesse è la pala di Santa Maria di Costantinopoli datata 1790, posta sull’altare della chiesetta di Masseria Acquaro, ottimamente preservata dalla famiglia Mario Rosato di Mesagne, attuali proprietari. Altre importanti immagini mariane risultano ormai illeggibili, come la Vergine Maria dipinta sulla lunetta sovrastante l’ingresso della cappella di Masseria Albanesi.

A singola aula, questi edifici sacri avevano quasi sempre il tetto a doppio spiovente (a “cannizzu”) e copertura con coppi tradizionali, su uno dei muri perimetrali veniva elevato un campanile a vela ad unica luce contenente un “campana proporzionata”. All’interno, a lato dell’ingresso, risaltavano le acquasantiere a forma di conchiglia spesso guarnite anche internamente; le pareti – talvolta affrescate – potevano comprendere piccole alcove dove erano poste statue, quadri o pitture murali recanti le immagini dei santi vicini alla religiosità popolare. Di tutto ciò ben poco rimane, probabilmente un’altra tra le rarissime cappelle rurali dove si conservano egregiamente tali testimonianze è a Masseria Incantalupi, dove spicca il dipinto della Veronica che sorregge il velo con il volto di Gesù.

Oltre alle panche e agli arredi sacri, oggi del tutto svaniti, resta solo qualche pietra degli altari che venivano generalmente addossati al muro absidale, i marmi e le ceramiche e molte delle decorazioni fanno ormai parte di arredi privati, depredati dopo l’abbandono delle masserie. Un esempio significativo della devastazione subita da queste strutture rurali è visibile a Villa Pignicedda, dove insieme alla straordinaria statuaria che era nel giardino di cui non è rimasta traccia, anche le bellissime maioliche provenienti dalle fornaci del Mugello di Lorenzo Chini – risalenti al 1926 – con l’intero apparato decorativo sono state asportate dalla chiesetta, completamente sventrata. Sulla facciata ai lati dell’ingresso le eleganti ceramiche raffiguravano due santi, con la particolarità delle piastrelle dei visi invertite tra le due figure. Razziati anche le maioliche campane che componevano il pavimento interno e l’altare del 1908. Molti dei luoghi di culto rurali una volta sconsacrati sono stati adibiti ad alloggi per gli operai, qualche volta con l’aggiunta di un caminetto per il riscaldamento, quindi a deposito di attrezzature e di prodotti agrari.

Queste trasformazioni sono evidenti nella chiesetta del XVIII secolo dedicata a San Nicola ed accostata ai fabbricati di Masseria Masina, che conserva all’interno fregi ed ornati originali preservati grazie alla cura del proprietario Francesco De Castro di Mesagne. Divenne un magazzino anche la chiesa di San Giovanni ubicata a destra dell’elegante ingresso – a gusto barocco – della Masseria Cafaro; di questa cappella restano solo pochi elementi dell’originale decoro architettonico, come la cornicetta ornata del frontone con al vertice una croce in pietra a otto punte che molto si avvicina alla forma della Croce di Malta o di San Giovanni, ma non vi sono testimonianze attestanti la vicinanza dei committenti all’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani. Le cappelle rurali hanno beneficiato del diritto di asilo sino al 1741, quando il concordato tra stato e chiesa escluse la garanzia dell’immunità ai rifugiati. Un altro utilizzo politico di questi edifici sacri è documentato nel periodo risorgimentale nella chiesetta dedicata a Sant’Antonino della Masseria Restinco: il proprietario Giacomo Catanzaro intorno al 1860 ne fece un punto di riferimento per gli aderenti alla Giovane Italia, l’associazione politica insurrezionale attiva nella rivolta contro la monarchia borbonica, e la presenza dell’originale pittura che rappresenta Mazzini e Garibaldi nelle vesti dei santi Pietro e Paolo ancora visibile in una nicchia sulla parete destra, è una rilevante testimonianza che ci resta di quel periodo storico.

Nel 1771 dell’arcivescovo Giuseppe De Rossi effettuò una serie di visite pastorali nelle cappelle rurali del territorio brindisino, emanando disposizioni raccolte in atti conservati presso la biblioteca pubblica arcivescovile “De Leo”. L’ordine impartito dopo la visita alla chiesetta di Masseria Masciullo riguarda l’esigenza di rendere gli arredi e gli interni più ordinati e puliti. Dell’edificio spicca ancora l’interessante fastigio con scultura in bassorilievo del Cristo tra due Angeli. Ci sarebbe molto altro da raccontare, ma tante, tantissime testimonianze del patrimonio storico-architettonico e religioso locale sono andate inesorabilmente perdute. Altre sono destinate alla stessa fine considerato il notevole stato di degrado in cui versano i complessi rurali. L’interesse di urbanisti, storici dell’arte e dell’architettura e degli esperti di programmazione territoriale si rivolge principalmente alle zone collinari delle province di Bari, Taranto e Brindisi, trascurando le realtà a noi più vicine, quindi non ci resta che conservare nella memoria documentaria il ricordo di questi piccoli frammenti di storia destinati all’oblio.

Giovanni Membola

 

(Bibliografia utilizzata e consigliata: “G. Carito, A. De Castro. Le masserie dell’agro di Brindisi. Dal latifondo alla riforma. 1993)

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